Chi sono le modelle curvy?

Una vera rivoluzione in passerella (e non solo)

Tiziana Troisi 01/04/2022 0

Bellezza= magrezza. Questo era il dogma della moda fino a pochi anni fa. A dominare la scena delle passerelle erano ragazze magrissime, quasi emaciate, fiere portatrici di una taglia 36 europea. Le loro espressioni sempre corrucciate erano l’immagine delle dive di quegli anni.

Per esprimere tutta la distanza e l’aspetto etereo dei grandi brand, anche le modelle dovevano avere un aspetto ed un atteggiamento altezzoso. Chi guardava le sfilate doveva rendersi conto che quelle non erano ragazze della porta accanto ma un simbolo di eleganza e glam irraggiungibile.

Modelle curvy: la rivoluzione degli anni 2000

Con gli anni 2000 e l’avvento dei social, però, qualcosa è cambiato. Alle ragazze delle nuove generazioni non bastano più le taglie proposte (e imposte) dalla fast fashion. Le giovani della generazione millennial vogliono vedersi rappresentate, vogliono vedere sfilare su quelle passerelle corpi che somigliano alla loro realtà.

I primi a captare il sentore di questo cambiamento e a provare a dargli una voce vera e forte sono stati gli editorialisti di Vogue. Nel 2011 la nota rivista piazza in copertina tre bellissime modelle curvy americane, per lanciare un messaggio fortissimo all’industria della moda.

Da questa operazione i grandi brand imparano e nel 2016 è la volta di Sports Illustrated che sceglie come nuovo volto della propria campagna la modella curvy Ashley Graham. Un piccolo passo, ma importantissimo per affermare una nuova era nel mondo patinato della haute couture.

Oggi, che molti dei taboo messi in piedi dall’industria stanno crollando, la moda curvy pian piano si sta affermando. Per chi non conosce bene questo ambiente, vale la pena fare una leggera digressione, per spiegare chi sono le modelle curvy.

Chi sono le modelle curvy? Segni particolari: allegria

Curvy è una parola che viene dall’inglese che vuole evidenziare il fatto che nei nuovi corpi rappresentati in passerella abbiano finalmente delle curve.

La nuova generazione di modelle è rappresentata da donne procaci e formose che non si vergognano del loro corpo e sono a loro agio con la loro fisicità. Segni particolari delle modelle curvy? Ecco:

  • Taglia 44 o più: dite addio definitivamente alla supremazia della taglia 36-40. Oggi in passerella ci sono (anche) fisici diversi, meno stereotipati, più veri. Corpi normali, con i fianchi pronunciati e pancette appena accennate. Oggi ogni ragazza può vedere il suo corpo rappresentato in passerella e sulle riviste, davvero.
  • Sorriso sulle labbra: dimentica il broncio tipico delle modelle dei grandi brand di qualche anno fa. Le modelle curvy sorridono e portano sulle copertine la felicità e il brio che ci si aspetterebbe da una ragazza della porta accanto.

Molti dei grandi brand hanno scelto di adeguarsi a questo nuovo paradigma visivo, creando linee perfette anche per persone che non rientrano nella classica 40.

Il segreto del successo dietro alla moda curvy

Qual è quindi il segreto del successo delle modelle curvy e più in generale, del nuovo movimento body positive?

  • Rappresentatività: finalmente nel mondo della moda è rappresentato ogni tipo di corpo, finalmente chi non rispetta determinati canoni, trova i capi giusti per vestirsi anche nei negozi di fast fashion. Il concetto di accettazione della diversità trova terreno fertile in questa nuova visione delle cose
  • Orgoglio: il messaggio più forte trasmesso dalle modelle curvy è sicuramente questo: tutti possono piacersi, a prescindere dalla taglia dei propri pantaloni. È importante educare le nuove generazioni e aiutarle a capire che molti aspetti della vita non devono e non possono sempre somigliare a quello che vediamo in tv o sulle riviste. La vita vera è molto più complicata di così.
  • Accessibilità: quante volte è capitato a donne comune di entrare in un negozio per misurare un vestito che piace ma di non trovare la taglia giusta? Spesso anche se la taglia scritta sull’etichetta è quella di sempre, il vestito non entra.

Può capitare di sentirsi umiliate dal fatto di non riuscire a calzare un capo che piace, può capitare di sentirsi grasse e inadatte.

Oggi, con l’introduzione nella fast fashion di capi curvy, tutte le donne possono sentirsi rappresentate in modo adeguato, senza vivere il disagio da etichetta.

La nuova storia della moda

La forza del nuovo concetto di moda è quella di aver creato, finalmente, una realtà che sia lo specchio della vita vera. Una vita fatta di imperfezioni e di corpi tutti diversi che non vuole dire per forza sbagliati. La moda curvy, infatti, ci ha aiutato a capire che dietro ogni corpo c’è una storia da raccontare e il suo compito è quello di esaltarne la bellezza.

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Tiziana Troisi 19/04/2022

Prosumer: chi è e cosa fa

Sai che cos’è un neologismo? È una parola creata sul momento da qualcuno per definire al meglio un concetto difficile da definire con espressioni già conosciute. Capita che siano inventati neologismi pieni di fantasia, come il petaloso di qualche anno fa.

Capita ancora più spesso che i neologismi vengano utilizzati per creare definizioni specifiche per determinate discipline. La disciplina che più si serve dei neologismi è, manco a dirlo, il marketing. Si tratta di un campo di studio grandissimo e in continua espansione.

Ecco perché, più di tutte le altre discipline, il marketing è un coacervo di molte nuove parole. In questo articolo parleremo in particolare di uno di quei neologismi: la parola prosumer.

Prosumer: il cliente ora è attivo

Questo termine, che avrai sicuramente letto da qualche parte in rete, è l’unione di due parole: consumer e producer.

Questo termine cerca quindi di racchiudere e descrivere in sé una figura precisa: quella del consumatore che non è più passivo, ma parte attiva nel processo di vendita.

Se prima dell’avvento della rete il consumatore era un semplice acquirente, oggi non è più così. Oggi, infatti, sono le stesse aziende a chiedere l’intervento diretto dei consumatori in quello che è il processo produttivo aziendale.

Il prosumer è, quindi, una figura ibrida che non solo consuma un contenuto, ma lo produce egli stesso. Come per tutte le cose, anche per questa figura non esiste un solo modo di agire. Si può essere prosumer in tanti modi e per tanti campi diversi.

È prosumer l’utente che non subisce più passivamente i social ma crea contenuti da divulgare ad un pubblico, sono prosumer i book blogger che leggono un libro poi lo recensiscono sui loro canali.

Insomma, i prosumer sono tutti quei consumatori che non restano passivi ad usufruire di contenuti a loro disposizione ma diventano loro stessi parte integrante di una community attiva.

La nascita dei prosumer ha dato alle aziende nuove possibilità di confronto diretto e successiva validazione del suo operato. Sono proprio i prosumer, spesso, a fare da collante tra il pubblico acquirente e l’azienda.

Che cosa fanno i prosumer?

Di seguito ti presentiamo i diversi ruoli dei prosumer:

  • Producer: parliamo in questo caso di un consumatore che inizia a produrre autonomamente contenuti, che siano essi divulgativi o di altro genere. Come abbiamo già detto questo tipo di prosumer cambia ruolo passando da quello di consumatore a quello di creatore di contenuti.
  • Fixer: è quel consumatore che insieme alla propria community si impegna per migliorare e modificare l’esperienza d’uso del prodotto. Sono questi i pareri più importanti da ascoltare quando un’azienda decide di avviare operazioni di riposizionamento per il proprio brand.
  • Sharer: questo prosumer è quello che sostituisce, di fatto, il passaparola del marketing analogico. Lo sharer esprime e diffonde opinioni sui social consigliando (o meno) un determinato prodotto. È proprio attraverso questo passaparola che un brand riesce a raggiungere la fetta di pubblico più difficile da raggiungere. È importante quindi provare a creare legami che siano duraturi e fruttuosi per tutte le parti in causa.
  • Tester: è forse l’anello più importante della catena che collega produttori e consumatori. Si tratta di quella persona (o più persone) che ha il compito di provare i prodotti in anteprima e dare all’azienda produttrice i feedback che occorrono.

È l’azienda stessa che sceglie i suoi beta tester, selezionando tra i suoi consumatori abituali i clienti che più possono rispecchiare il loro target di riferimento: clienti speciali a cui offrire sconti e promozioni esclusive.

Come nasce la figura del Prosumer

Sembra una cosa abbastanza recente ma non lo è affatto: la figura del prosumer, infatti, è nata piano piano, con l’evolversi del rapporto tra aziende e consumatori. I primi a cambiare i pesi e i ruoli di questo rapporto sono stati sicuramente gli e-commerce.

Chi acquista online può notare da subito come il rapporto con le aziende diventa decisamente più diretto. L’azienda cerca infatti di coinvolgere in ogni modo i propri clienti. La trattativa tra il consumatore e il venditore diventa quasi uno scambio tra pari.

Ed è proprio da questi scambi che è nata la figura del prosumer. Ci si è accorti in questo modo di quanto la figura del consumatore possa essere centrale anche nei momenti precedenti alla fase di lancio.

E tu, curi abbastanza i rapporti con i consumatori? Diccelo nei commenti.

 

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Tiziana Troisi 09/05/2022

Twitter acquistato da Elon Musk: un nuovo futuro per il social?

44 miliardi di dollari. Una cifra che farebbe girare la testa a qualsiasi comune mortale, ma non a lui. Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, colui che possiede una delle case automobilistiche più costose e tecnologiche al mondo, ha comprato Twitter.

Il famoso social con l’uccellino è stato acquistato dopo una lunga trattativa che ha visto la compartecipazione economica di Tesla e del patrimonio personale del ricchissimo magnate. Ma per quale motivo Twitter ha avuto bisogno di questo salvataggio in extremis?

Twitter: un po’ di storia

Twitter nasce nel 2006 da un’idea di Jack Dosey. La sua funzione principale doveva essere quella di un’app di messaggistica. Nel 2007, però, dopo la presentazione dell’idea durante una conferenza, la piattaforma esplode.

È il 2007 e l’uccellino azzurro diventa il luogo preferito da milioni di utenti. 140 caratteri iniziali, tutti amavano quel modo di esprimersi veloce e diretto. Su Twitter attraverso un semplice commento si può arrivare ad una discussione lunghissima ed articolata.

Con il tempo, Twitter è diventato il luogo perfetto dove vip, giornalisti e enti rilasciavano le loro dichiarazioni. Twitter è diventato il social più importante per catturare la politica e le notizie del momento. La maggior parte dei dibattiti politici di quel periodo si sono consumati, nel bene e nel male, su quella piattaforma.

È importante capire, però, che nel frattempo si facevano strada nuovi modi di comunicare che le nuove generazioni preferivano. Già su Facebook, per esempio, era possibile esprimere pensieri più lunghi ed articolati.

Per fronteggiare questa concorrenza Twitter decide di aumentare il numero di caratteri possibili per ogni tweet, passando da 140 a 180 caratteri, ma non bastò.

La mancanza di investimenti pubblicitari che dessero di fatto nuova vita ad una piattaforma ormai in declino, fu il colpo finale per Twitter.  Era il 2016 quando proprio dalla stessa piattaforma si diffuse l’hashtag #TwitterStaMorendo.

Quell’anno, infatti, la piattaforma contò un’utenza attiva di appena il 10% rispetto all’anno precedente. Ogni tentativo di avvicinare i contenuti di Twitter a quelli di altri social è stato vano. Non è bastato allungare il numero di caratteri dei post, non è bastato introdurre la possibilità di fare dirette.

Per non morire, l’uccellino blu aveva bisogno di nuova linfa, di una rivoluzione e di qualcuno che credesse nel suo potenziale. Ed è proprio quello che Musk ha cercato di fare con questo nuovo acquisto. Nessuno avrebbe mai immaginato che Musk investisse nei social, eppure, è successo.

Twitter: la rivoluzione di Elon Musk

In cosa consisterà, di fatto, la rivoluzione di Elon Musk per Twitter? I rumors sono tanti, vediamo insieme quali sono quelli più succulenti.

  • Twitter potrebbe diventare a pagamento per alcuni utenti: la prima cosa da fare quando si rileva un’azienda in potente perdita economica è cercare di risollevare le sue finanze. Forse è proprio questo l’obiettivo dietro l’idea di voler rendere Twitter a pagamento. Non disperate, non sarà così per tutti: il pagamento di una fee sarà previsto solo per gli account istituzionali che vogliano continuare a utilizzare la piattaforma per le loro comunicazioni ufficiali.
  • Servizi in abbonamento: per chi volesse ottenere servizi aggiuntivi, come la possibilità di poter introdurre banner pubblicitari all’interno del proprio account, ci sarà possibilità di pagare un abbonamento mensile che includa tutti questi servizi. Non solo: a chi vorrà aderire sarà offerta la possibilità del pagamento in crypto valute. 
  • Un’altra grande rivoluzione, forse la più importante dal punto di vista del marketing, è sicuramente rappresentata dall’idea di rendere l’algoritmo di funzionamento della piattaforma completamente open-source. Cosa significa? Significa che tutti gli interessati potranno analizzare personalmente l’algoritmo per studiare ed analizzare al meglio il funzionamento intrinseco della piattaforma. Cosa occorre perché un post diventi virale? Quali sono i tipi di post premiati dall’algoritmo? Potendolo finalmente analizzare, si potrà dare una risposta chiara ed esaustiva alle domande che assillano quasi quotidianamente la vita di un content creator. 

Twitter: tra algoritimi e innovazione

Da anni chi lavora con i social lamenta quanto i continui cambiamenti a livello di algoritmo rendano incostante la copertura dei post e quindi il rendimento delle campagne stesse.

Magari, l’idea di Musk potrebbe fare da apripista ad un nuovo concetto di social, dove non sono le persone ad essere schiave di un algoritmo, ma il contrario. Magari potrebbe essere l’algoritmo a servire le persone.

Non ci resta che aspettare e vedere quali saranno le novità che il futuro social è pronto a riservarci. E tu usi Twitter? Faccelo sapere nei commenti!

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Tiziana Troisi 24/11/2021

Apple e privacy policy: ecco cosa è cambiato

Tutti odiamo le pubblicità sulle app o sui siti internet: sarà capitato sicuramente anche a te di essere interrotto nella navigazione da pubblicità più o meno invasive che ti costringono a interrompere la navigazione. Ormai anche i social, che dovrebbero essere quel luogo dove rilassarsi e staccare la spina, sono pieni di pubblicità.

Nel marketing però, non tutta la pubblicità viene per nuocere: è proprio la pubblicità che tanto odi che puoi usufruire dei servizi di un social network o di un qualsiasi sito a iscrizione gratuita.  In realtà, in rete  niente è davvero gratuito: mi dispiace distruggere la tua idea fiabesca di una rete aperta a tutti indistintamente, ma le cose non stanno esattamente cosi: se possiamo iscriverci a social network come facebook senza pagare, è proprio grazie alle pubblicità. Ti spiego meglio: tramite la registrazione ad un sito lo autorizziamo a diffondere ad aziende partner i nostri dati anagrafici. Attraverso questi dati le aziende possono tracciare e diffondere pubblicità create apposta per noi, utenti di quel social network.

Lo sappiamo, questa cosa ti da un po’ di noia: vorresti poter decidere quali tipo di dati trasmettere a tutte le app che utilizzi, in modo da controllare meglio la diffusione dei dati sensibili che ti riguardano e di conseguenza la tua privacy.

A proteggere i tuoi dati ci ha pensato Apple: con il nuovo protocollo privacy, l’azienda della mela permette ai suoi utenti di scegliere quale tipo di dati trasmettere a tutte le app utilizzate dallo smartphone.

Il nuovo protocollo privacy di Apple sembra voler premiare la fedeltà dei propri clienti, regalando loro la possibilità di scegliere come e quanto proteggersi. Questa scelta di proteggere la privacy dei propri clienti ha avuto però ripercussioni abbastanza gravi sugli accordi economici che l’azienda ha stretto in questi anni.

Apple e privacy policy: a cosa serve raccogliere dati?

Cosa è successo? Te lo spieghiamo subito: come abbiamo detto, la possibilità di scegliere quali dati trasmettere più nel dettaglio, limita di fatto la possibilità che le aziende hanno di creare nuovi lead, cioè legami con potenziali clienti.

Scendendo più nel dettaglio, ecco come funziona: tutte le aziende raccolgono in un database i dati di chi utilizzando le app partner acconsente alla trasmissione dei dati. Studiando quei dati, il team marketing seleziona secondo determinate caratteristiche demografiche il target di riferimento per il proprio prodotto e crea una pubblicità ad hoc per quel target. Quella pubblicità sarà poi mostrata sulle pagine social della persona target. Con procedimenti di questo tipo, basati di fatto, su dati reali acquisiti da database, le possibilità che l’azienda riesca a creare in questo modo legami che potranno poi trasformarsi in vere e proprie conversioni è piuttosto alta.

Va da sé che, nel momento in cui qualcuno decide di non lasciare che i propri dati vengano trasmessi, l’azienda partner di quel sito o di quella app perde una possibilità di legame, quindi, un potenziale cliente.

La scelta di Tim Cooks si è quindi rivelata sfavorevole per molte aziende partner che stanno subendo una perdita importante nei ricavi ottenuti da campagne marketing.

I social in perdita

Secondo gli ultimi dati registrati da Lotame, i social network più utilizzato a livello globale hanno registrato, grazie a questa inversione di rotta dal punto di vista della profilazione, perdite abbastanza importanti. Per fare un esempio, prendiamo i dati riguardanti Snapchat, il social dei minivideo antenato del più famoso Tik Tok. Da dicembre 2021 ad aprile 2021 il social ha registrato una perdita dei ricavi pari quasi al 12%

Più o meno la stessa cosa è capitata anche a Facebook e Instagram, i capisaldi del nuovo Metaverso fondato da Mark Zuckemberg: perdite di uguale entità possono però avere effetti diversi su aziende diverse. Mentre il Metaverso non sembra aver subito gravi conseguenze, riuscendo comunque a chiudere il proprio bilancio con un bel margine positivo, altri social si sono ritrovati braccati dalla chiusura attuata dagli utenti della mela, tanto da ripensare i propri investimenti, lasciando meno margine ai social network.

Questa scelta dettata forse dal politically correct rischia quindi di trasformare Apple in una realtà ancora più elitaria. I social ci penseranno bene prima di decidere di collaborare ancora con loro e con i loro utenti. Per capire quali ripercussioni a lungo termine non ci resta che aspettare i dati del prossimo anno. E voi, cosa ne pensate della scelta di Apple?

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