L’effetto Priming
Scopriremo oggi come fa l’effetto priming a condizionare la nostra percezione
Gabriella Avallone 23/06/2021 0
Iniziamo spiegando che cos’è l’effetto priming:
Parliamo di effetto priming per indicare un effetto psicologico che si ha quando l’esposizione ad un determinato stimolo, definito per l’appunto “prime”, influenza la percezione di uno o più stimoli successivi.
Questo effetto è considerato un potente strumento di neuromarketing.
A nessuno piace pensare di non essere autonomi nelle scelte o di poter essere condizionati, ma chi può dire che un negozio non abbia potuto aumentare le vendite in shop grazie all’utilizzo della fragranza di Vaniglia, oppure grazie alla scelta di una musica piacevole di sottofondo che possa far restare i clienti più a lungo nel negozio. Nessuno ricorda di aver sentito questi stimoli, eppure tutti ne siamo stati inconsapevolmente vittime.
Ma facciamo un esempio
Può capitare di ricevere un primo stimolo che definiremo “A” e successivamente un secondo stimolo “B”, la reazione a questo ultimo stimolo sarà condizionata da “A”.
Sarebbe stato diverso se fossimo stati raggiunti soltanto dallo stimolo “B”.
Immaginiamo di sentire un suono ed a seguito di questo dover descrivere delle immagini. La percezione del suono influenzerà la descrizione delle immagini.
Se “A” ascolta musica triste e “B” musica più allegra, a seguire, guardando della immagini correlate a quei suoni, “A” darà una descrizione negativa, mentre “B” darà una visione più positiva.
Queste reazioni a catena possono essere innescate a seguito di diverse tipologie di stimoli come: testi, immagini, colori, suoni e video.
Vediamo alcuni esempi di facili correlazioni:
Di sicuro non avrai impiegato molto tempo ad indicare la lettera mancante. Perché lo stimolo visivo ti ha indotto a capire di cose si stava parlando. Nonostante avessi a disposizione le medesime lettere, lo stimolo visivo ti ha subito indotto a pensare a parole diverse.
E non solo, quando l’attivazione è generata da uno stimolo esterno, porta ad uno stato di innesco o di preattivazione (Priming Condition) dei concetti ad essa correlati.
Il Prime non fa altro che attivare le informazioni già presenti nel magazzino della memoria a lungo termine rendendole più velocemente accessibili.
Immaginando il nostro cervello come una struttura a rete sarà più facile immaginare come funzionano le associazioni e le connessioni, dette sinapsi. Quando uno stimolo prime si verifica, da il via alla diffusione dell’attivazione che va ad interessare tutti i nodi correlati.
Come può essere l’effetto priming:
- Priming Positivo e Negativo: quando lo stimolo velocizza l’elaborato dello stimolo target, come con la parola “fiore” si pensa subito al suo profumo, colore ecc.
- Priming Visuo-Percettivo: si basa sulla forma dello stimolo, che rimanda a meccanismi inconsapevoli di memoria che tengono traccia delle percezioni passate.
- Priming Semantico: si ha più velocità della risposta se gli stimoli sono correlati semanticamente.
- Priming Ripetuto: con una maggiore frequenza di esposizione allo stesso stimolo, come un logo o la costruzione di un personaggio, alla fine si finisce con il preferirlo ad altri. Questo vale con la musica, con la pubblicità, con i packaging ecc.
- Priming subliminale: può verificarsi quando il soggetto non riconosce il prime, perché gli stimoli vengono mostrati per un lasso di tempo così breve da non poter essere riconosciuti coscientemente. Come messaggi subliminali che possono influenzare i pensieri.
Studi sui messaggi subliminali come quelli nel 1957, condotti da Vance Packard, pubblicati in “I persuasori occulti”. Veniva riportato uno degli studi condotto in una sala cinematografica. Ad insaputa degli spettatori, tra i fotogrammi del film vennero inseriti messaggi come “Bevi Coca-Cola” o “Mangia Pop-Corn” per circa 0.3 millesimi di secondo con un intervallo di 5 minuti l’uno dall’altro, il tempo necessario per elaborare gli stimoli. I distributori fuori dalla sala riscontrarono un aumento significativo delle vendite quella sera.
Effetto priming nel marketing
L’effetto priming ampliamente utilizzato, soprattutto quando si parla di branding finalizzato alla costruzione della brand identity.
Se ti fermi a riflettere noterai che tutto quello che pensiamo dei brand è una percezione costruita nel tempo proprio sfruttando l’effetto priming. Un circolo virtuoso che stimoli che alimenta la percezione positiva del brand.
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Paola Palmieri 12/04/2021
Brand awareness: cos’è e perché è importante
Prosegue il nostro viaggio nel mondo del marketing e non solo dedicato a chi vuole imporsi in questo settore o semplicemente vuole conoscerlo più da vicino. Proviamo insieme ad indagare un altro argomento importante ma spesso sottovalutato. Hai già sentito parlare di awareness? E il termine brand awareness - preso in prestito dagli inglesi - come può aiutare il tuo business? Proviamo a rispondere a queste e altre domande nel corso dell’articolo e a chiarirti un po’ le idee, passo dopo passo. Iniziamo dalla sua definizione.
Cos’è la brand awareness
Come è facile intuire il termine brand awareness ha a che fare con una marca: letteralmente “consapevolezza di un marchio”. La brand awareness sta a indicare il livello di notorietà raggiunto dal tuo brand presso un pubblico e per te diventa fondamentale lavorarci su per aumentare il numero di potenziali clienti e di conseguenza il fatturato. Questo è ancor più vero quando si parla di web marketing: rafforzare la tua presenza online diventa un obiettivo primario, non farlo un errore gravissimo.
Per spiegarlo meglio ci torna utile la piramide di Aaker: ne hai già sentito parlare? Vediamo insieme di cosa si tratta e come può aiutarci.
La piramide di Aaker
David Aaker ha pensato ad uno schema molto semplice per poter capire dove è il tuo business e dove lo vuoi portare. La piramide di Aaker detta anche piramide della notorietà di marca è un procedimento impiegato per raccogliere e classificare i dati di ricordo, legati a un marchio, rilevati tramite alcune indagini e ricerche di mercato.
La piramide è suddivisa idealmente in quattro livelli sulla base del grado di memorizzazione della marca da parte del consumatore. Si parte dal livello più basso in cui l’intervistato non cita la marca fino ad arrivare in vetta dove la marca è nota, passando per livelli intermedi di brand recognition in cui l’intervistato riconosce la marca solo se sollecitato e di brand recall in cui l’intervistato riferisce la marca in modo spontaneo.
Se per la tua azienda vuoi individuare il punto esatto all’interno della piramide di Aaker hai degli strumenti a tua disposizione. Vediamo quali.
Come misurare la brand awareness
Gli strumenti migliori per misurare la notorietà di un brand sono:
1. Google Analytics: ti indica il numero di visite, traffico, conversioni, ecc.
2. Insights di Facebook: con indicazioni precise sul traffico web della tua pagina.
Differenza tra brand awareness e brand reputation
Cerchiamo a questo punto di mettere in evidenza la differenza tra due concetti:
• brand awareness: livello di conoscenza del marchio
• brand reputation: livello di considerazione che il marchio ha da parte del pubblico e che puoi migliorare con alcuni interventi fino a diventare sinonimo di qualità, una garanzia insomma.
Come migliorare la brand awareness
Per migliorare la brand awareness della tua azienda scende in campo il marketing: realizza delle campagne ad hoc per far emergere il tuo brand. Se hai bisogno di qualche consiglio utile noi ti suggeriamo un lavoro molto attento e preciso legato alla SEO:
1. individua la keyword nel tuo ambito: contenuti di qualità legati alla parola chiave aumenteranno la visibilità del tuo brand.
2. segui un calendario editoriale stabilendo con precisione il quando e il come offrire i contenuti giusti ai tuoi utenti: consigli, interviste e guide.
Noterai come nel giro di qualche tempo la conoscenza del tuo brand tenderà a crescere e ti aiuterà ad aumentare il fatturato. Ecco perché la brand awareness non va mai sottovalutata e c’è chi ingaggia blogger e influencer proprio per aumentare la sua visibilità.
A te viene in mente qualche esempio pratico? Scrivicelo nei commenti e se hai altre curiosità legate al marketing, non esitare a farcelo sapere. Ti aspettiamo al prossimo appuntamento!
Tiziana Troisi 19/03/2021
Co-marketing: quando l’unione fa la forza
Le abbiamo comprate tutti almeno una volta nella vita, a costo di sembrare infantili, fregandocene. Se il nostro brand di vestiti preferito comincia a realizzare magliette a tema Disney dovete averle. Sapete che dietro la decisione di realizzare prodotti utilizzando altri brand ci sono delle operazioni di marketing molto più complesse di quanto possa sembrare?
Ecco cos’è il co-marketing e come funziona: si definisce co-marketing l’accordo secondo cui due o più brand attivano una collaborazione per un limitato periodo di tempo. A differenza della partnership, nel co-branding infatti il legame istaurato tra due brand ha un fine preciso ed è limitato nel tempo. Se volessimo fare un esempio pratico riferendoci alla quotidianità, potremmo parlare di uno scambio di favori: se chiediamo un favore a qualcuno, scambiamo con quella persona solo le informazioni utili allo scambio. A favore fatto, il rapporto si interrompe. Ecco il co- marketing funziona proprio cosi: le aziende condividono lo stretto indispensabile per un periodo limitato.
Tipi di co-marketing
Come ogni operazione di marketing, anche il co-marketing può toccare diversi livelli della realizzazione di un prodotto. Ecco quali sono i diversi livelli su cui si possono realizzare azioni di co-marketing:
- Co- marketing di prodotto: succede quando due brand si uniscono per creare un nuovo prodotto. In America, per esempio, la diet coke è stata promossa con l’aiuto di un brand specializzato in bevande e prodotti fit.
- Co-marketing di promozione: un brand che aiuta un altro brand a promuovere il suo ultimo prodotto, magari offrendo gadget in omaggio. Avete presente quando da piccoli (ma forse anche ora) correvamo da Mc Donald’s per arraffare prima di tutti l’ultima sorpresa dell’ happy meal a tema Disney? Ecco: quello è co-marketing di promozione.
- Co marketing di distribuzione : è il tipo di co-marketing che permette ad un’azienda di distribuire i propri prodotti negli spazi di cui è proprietario un altro brand. Spesso, questo tipo di co-marketing è realizzato attraverso le affiliazioni sui siti internet, o attività di content marketing (articoli blog che consigliano quel prodotto). Anche se può sembrare un’operazione poco incisiva sulle scelte d’acquisto dei clienti finali, non è assolutamente cosi: ogni associazione lascia nel nostro cervello una traccia mnemonica, un ricordo della marca che si rivela decisivo quando poi ci tocca scegliere un prodotto. Dopo aver lasciato un ricordo attraverso la rete, i prodotti consigliati vengono poi anche proposti al cliente finale. È il caso di negozi di elettronica che propongono la stipula di ulteriori assicurazioni sul prodotto.
- Co marketing di prezzo: si verifica quando due brand che creano prodotti complementari tra loro scelgono di offrirli al cliente finale ad un prezzo vantaggioso. Ne sono un esempio lampante le campagne di bundling realizzate dai produttori di videogiochi. Nintendo, per esempio, in occasione dell’uscita di un nuovo Animal Crossing, ha realizzato per i suoi fan un’esclusiva versione dell’amata Nintendo Switch. La console personalizzata era venduta insieme alla versione digitale del nuovo videogioco.
Co-branding: come nascono nuovi prodotti
C’è poi un altro modo di fare co- marketing che merita un po’ più di attenzione: parliamo di co-branding. Si parla di co-branding quando due aziende si uniscono per immettere sul mercato un nuovo prodotto realizzato unendo i due prodotti di partenza.
Non più due prodotti commercializzati insieme, ma un prodotto nuovo ed esclusivo. Ecco qualche esempio concreto per capire meglio di cosa stiamo parlando:
Philadelphia e Milka
La combinazione di dolce e salato vince sempre: sarà questo quello che avranno pensato i due brand quando hanno creato questo autentico guilty pleasure. Un vasetto di formaggio spalmabile al gusto di cioccolato Milka, perfetto per chi vuole lasciarsi andare a piccoli peccati di gola. Con il cibo buono, non si sbaglia mai.
Red Bull e Go-pro
Si sa, chi fa sport ha bisogno di energia. Certe imprese, poi, vanno immortalate. Ecco perché, l’operazione di co-branding realizzata tra i Red Bull e Go-pro ha funzionato cosi bene. Contenuti digitali, video e foto pieni di energia e vitalità: immagini perfette anche se in pieno movimento. Proprio quello che ogni sportivo ha sempre desiderato.
Android Kit Kat
Perché no? Si può fare co-branding anche attraverso il naming. È quello che è successo quando Google, in accordo con Nestlè ha chiamato il nuovo aggiornamento del suo sistema operativo come il noto stick di cioccolato. Anche se il noto motore di ricerca ha sempre dimostrato di amare i dolci, non aveva mai utilizzato un marchio registrato. Un accordo segreto fino all’ultimo, che la Nestlè ha siglato con l’obbiettivo di aumentare la sua brand awareness. Dite la verità, non vi è venuta già fame?
Se la sete di conoscenza del mondo del marketing non si è ancora placata, continuate a seguire il nostro blog.
Gabriella Avallone 02/09/2020
Come si crea un Business Plan
Iniziamo col dire che questo particolare documento è fondamentale per intraprendere un progetto. È utile se si vuole illustrare l’iniziativa per intero, mostrandone pregi, difetti e strategie di vendita per riuscire a riscuotere, laddove fosse possibile anche dei finanziamenti.
Il business plan è un documento analitico che ha diverse finalità:
- Illustrare la strategia: mostrare tutti i passi di come si intende procedere, tenendo ben presente la mission e gli obiettivi che si intendono raggiungere a breve e medio termine, cercando di puntare a mete sempre più ambiziose.
- Identificare punti di forza e debolezza: attraverso un’analisi di mercato chiamata SWOT ANALYSIS è possibile individuare quelli che sono i punti di critici del progetto e quali invece le sue potenzialità così da riuscire a sfondare in quel segmento di mercato.
- Budget: stilare un dettagliato piano che comprenda anche tutti i costi di creazione e mantenimento del progetto, ovviamente reali ed attinenti a seconda di quello che necessita la realizzazione dello stesso.
- Reperire finanziamenti: lo scopo di illustrare l’intero piano potrebbe essere quello di reperire finanziamenti per il progetto, che naturalmente potranno essere di vario tipo come prestiti, mutui o finanziamenti a fondo perduto (senza un business e plan che si rispetti sarebbe impossibile pensare di chiederli).
- Trovare sponsor e partner: il business plan potrà aiutarci a trovare partner attinenti al nostro settore con possibili joint venture, clienti, fornitori e distributori interessati al progetto in questione.
- Il business plan è decisamente un documento necessario per la gestione e lo sviluppo di tutte le imprese è fondamentale per una buona redazione del piano che tenga conto di tutti gli aspetti necessari per la sua realizzazione.
Altro aspetto particolare di questo documento è che non è statico ma si modifica nel tempo. Segue infatti l’impresa stessa nella fase di start up, sviluppo e maturità.
Le parti fondamentali del business plan:
- Executive Summer che indicherà le parti principali e le più rilevanti del piano. Si espone in poche pagine ed in modo chiaro e conciso.
- Grafica di qualità: bisogna attirare per ottenere consensi positivi. Attirare non vuol dire essere troppo appariscente, si rischia altrimenti di essere controproducenti e deviare l’attenzione dei nostri spettatori. Un layout chiaro e pulito potrebbe essere la mossa vincente, la prima impressione è quella che conta, non dimentichiamolo!
- Definizione degli obiettivi, mission, fattori critici e di successo.
- Analisi di mercato: con l’analisi SWOT indicare punti di forza e debolezze. Inclusi i i successi già raggiunti e quelli a cui si vuole puntare.
- Descrizione e illustrazione del prodotto/servizio/impresa in questione, incluse le caratteristiche fisiche, le finalità, i punti attrattivi e le possibili evoluzioni.
- Distribuzione, tempi e listino prezzi.
- Concessioni e permessi legali per metterlo in atto rapportandolo alla concorrenza e comprendendone vantaggi competitivi per attirare il cliente.
- Target: scegliere la categoria di persona alla quale è indirizzato il progetto.
- Finanze: l’attuale portafoglio clienti, costi e margini di profitto.
- Indicare la catena del valore offerto: modelli di produzione, somministrazione ecc.
- Prodotti/servizi futuri: indicare se sono in programma innovazioni in quali tempi previsti
- Strategie di marketing e comunicazione per la promozione del prodotto/servizio in questione, seguendo le leve del Marketing Mix.
- La struttura del management interno.
- Analizzare le funzioni aziendali: produzione, approvvigionamento, marketing, vendita, ricerca e sviluppo.
- Piano operativo, assistenza post-vendita, fattori di influenza esterni.
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